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Il pensiero del musicista dalle sue parole
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Sergio Calligaris
Il pensiero del musicista dalle sue parole

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Riproduzione AcrobatReader© articolo di MUSICA (3251kB)MUSICA, Anno XX - N.98
(Edizioni Diapason - Milano)
Giugno-Luglio 1996 (pag.44):

Sergio Calligaris:
Un raggio di sole nella musica dei nostri giorni,

di Umberto Masini

Da tempo era sorta in me la curiosità di conoscere Sergio Calligaris. Il desiderio di poterlo incontrare e di poter parlare con lui delle sue esperienze musicali era nato, tempo fa, dopo l'ascolto di un raro disco del pianista-compositore argentino, realizzato quasi trent'anni fa a Roma, e più recentemente riversato in CD. Calligaris vi suona, con uno stile del tutto inedito ed affascinante, pezzi propri e di autori romantici. Così ho colto al volo l'occasione di un recente soggiorno milanese di Calligaris - che vive e lavora a Roma - per fare la sua conoscenza, complici alcuni amici comuni ed il menu di un rinomato ristorante.

Secondo Lei, esiste un rapporto di causa-effetto nello sviluppo della musica, oppure le innovazioni del linguaggio musicale dipendono dall'originalità, dal genio dei compositori?

Propenderei per la seconda ipotesi. Penso che certi compositori nascano con una genialità tutta loro, che non tiene conto di quanto fanno altri autori in quello stesso momento storico.
Un compositore come Charles Ives scrisse delle cose che possono essere considerate anticipatrici del linguaggio di Schönberg, in un momento in cui egli non conosceva Schönberg né le sue opere.
Certe audacie armoniche che troviamo nelle prime composizioni di Villa-Lobos sembrano anticipare Debussy, e lui non conosceva, negli anni giovanili, Debussy né la musica europea.

Lei è un fautore della Musica Tonale. Come si pone la Sua ricerca nell'ampio contesto della musica contemporanea?

Sono un nemico dell'ovvio e cerco in tutti i modi di scrivere della musica che, pur restando nell'ambito della tradizione tonale, possa «consolare» l'ascoltatore con un ritorno alla tonalità, senza però che questo procedimento sia palese. Se ascolta il mio Concerto o le Danze Sinfoniche avrà l'impressione di ascoltare della Musica Tonale, ma non è Tonale nel vero senso del termine.
Per me si tratta di raggiungere quell'ideale di «rassicurazione», timbrica, armonica e tonale, rievocando il principio della tonalità, senza in realtà raggiungerla mai.
Vorrei dare all'ascoltatore quell'impressione che si prova quando, dopo un temporale, si schiude un cielo rannuvolato, e appare improvvisamente un raggio di sole. Lì tende la mia musica. Questo vorrei che sentissero gli ascoltatori.

Quindi Lei si distacca dai Neo-Romantici?

Certamente, loro fanno della Musica Tonale in senso assoluto e stretto. Mentre io la Musica Tonale la considero come un orizzonte verso il quale mi dirigo senza mai raggiungerlo. Dopo le esperienze di grandi autori storici come Webern, Berg e Schönberg, non potrei costruire tanti accordi tonali. Non avrebbe senso. Preferisco - e questo non è facile - dare l'illusione di quella logicità discorsiva dell'armonia di cui si parlava a proposito delle mie esecuzioni pianistiche di classici dell'Ottocento, in quel mio vecchio disco citato prima. Incisi quel disco quando avevo ventitré anni e fin da allora pensavo alla musica in termini di armonia e di struttura.

Dunque Lei vede la musica più come armonia che come melodia?

Proprio così la intendo.

Che rapporto ha con i compositori di oggi?

Un rapporto fondamentalmente polemico. Specialmente nei confronti dei cosiddetti Neo-Romantici. Non riesco ad accettare un ritorno al passato, in termini di convenienza e di opportunismo, facendo delle «fotocopie» della musica di Puccini o di Mascagni con una melodiosità di cattivo gusto e un'armonia davvero troppo povera rispetto a ciò che piace veramente a me e che rappresenta il mio ideale.
Un altro fondamentale difetto che trovo nei Neo-Romantici è la limitata ricchezza di stile e la scarsa metamorfosi tematica, che resta a mio avviso su livelli salottieri, senza veri approfondimenti.

Lei mi sembra amare molto l'ordine simmetrico delle cose, e anche la Variazione e il Contrappunto come espressioni tipiche del Suo linguaggio musicale.

La metamorfosi dei temi musicali è per me fondamentale, e può esistere solo se è sostenuta da una solida tecnica del contrappunto.

Si potrebbe anche dire che il Suo linguaggio musicale abbia fondamento nell'armonia?

Direi di sì. La mia armonia si basa sulla sequenza di accordi politonali, che possono essere dissonanti, ma sempre espressivi nel senso di creare una piacevole compagnia per chi ascolta. Mi interessa sempre far prevalere, nella mia musica, la forma, la linea degli accordi, una sorta di personale «Impressionismo armonico», che non è, naturalmente, quello di Debussy, caratterizzato dai famosi accordi esatonali che resero celebre il compositore francese.

Questo modo di scrivere la musica Le viene spontaneo oppure è frutto di una costruzione «ragionata»?

La mia musica è «costruita» nel senso che proviene da una tecnica che ho maturato negli anni, però è anche vicina a me e al mio modo di pensare e di «sentire» l'arte dei suoni.

Quando scrive un pezzo nuovo, comincia a tavolino o subito al pianoforte?

Tutto nasce sulla mia scrivania.
E i temi nascono subito con la loro armonizzazione.
Poi, successivamente, c'è la verifica alla tastiera del pianoforte.
Ma per me questo diventa un fatto secondario. Perché la musica è già scritta e la sento tutta dentro di me.

E se deve creare una partitura per orchestra, come si comporta?

Comincio scrivendo il pezzo per due pianoforti, e solo successivamente penso di articolare e trasformare le due parti in quelle di tanti e diversi strumenti.

Quali sono gli elementi fondamentali della Sua musica?

Senz'altro gli impasti sonori, il colore del suono, il disegno tematico, l'intreccio contrappuntistico, il pulsare del ritmo.
La mia musica vorrebbe esprimere solo dei sentimenti «primordiali».
Detesto la musica descrittiva e non desidero affidare alla mia creazione dei significati diversi o ambigui rispetto a quanto io ho pensato fin dall'inizio della creazione.

Quindi non potrebbe mai scrivere un'opera…

È vero, mi sarebbe molto difficile.
Per scrivere opere occorre una certa predisposizione, una forma mentis che non ho mai posseduto. Mi sento vicino in questo allo spirito di compositori come Brahms, Bruckner, Mahler che non scrissero mai opere.

Si sente legato alla cultura sudamericana?

Sì, soprattutto per il senso del ritmo, che è un'altra caratteristica delle mie partiture, e per la «salutare bestialità» della musica che scrivo.
Credo di essere molto aggressivo nel mio modo di concepire i suoni. Pensi all'"Allegro ostinato" del mio Concerto per pianoforte.

Lei studia molto al pianoforte?

Ogni giorno. Incomincio ogni mattina con un «Preludio e Fuga» dal Clavicembalo ben temperato di Bach.

Della Sua musica mi piace molto quella particolare tensione che non si risolve mai, un clima emotivo che si ritrova nella musica barocca.

È una definizione perfetta della mia musica. In questi termini non l'avevo mai pensata, ma la trovo molto vicina al mio sentire.

Lei si definirebbe un compositore impegnato politicamente?

Detesto tutte le gerarchie, siano esse sociali o politiche. Il mio atteggiamento nei confronti del prossimo è sempre stato quello di una grandissima affettuosità. Penso che la musica debba andare verso l'uomo senza alcuna discriminazione ideologica.

Nella Sua musica si percepisce una ricerca verso qualche cosa di lontano, di alto, di luminoso. Lei è credente?

Mi sento cristiano, ma in senso «filosofico». Credo nei principi della vita e nella giustizia, nel bene, e sono capace di pregare anche per chi non mi ama e per chi cerca di farmi del male. In questo senso mi sento religioso. Penso spesso a Dio quando scrivo la mia musica.

Che cosa sta scrivendo in questi giorni?

Sto lavorando a un nuovo Concerto per violino e pianoforte, che dedicherò al violinista Sergei Krylov e alla pianista Stefania Mormone.

Fra le Sue composizioni ha dei figli prediletti?

Senz'altro amo in modo speciale il Quaderno pianistico di Renzo.
Renzo è il mio più grande amico. Non è un musicista, lavora come funzionario al Ministero di Grazia e Giustizia, a Roma. Il Quaderno pianistico di Renzo è una sorta di Mikrokosmos privato, un'evocazione del Mikrokosmos di Bela Bartok.
Contiene composizioni facili e molto difficili.
L'ho concepito come una serie di pezzi che il mio amico Renzo - che è un musicista non professionista - potesse suonare per conto suo.
Un giorno la pianista Marcella Crudeli mi chiese di farle conoscere quei pezzi e, trovandoli molto interessanti, li inserì nel suo repertorio concertistico. Da quel momento - era il 1978 - ebbe inizio la fortuna del Quaderno, che oggi viene eseguito dappertutto, anche in America.
Fra i miei pezzi preferiti vi sono anche i Tre Madrigali, le Scene coreografiche, il Requiem (per coro, voci soliste, due pianoforti e percussioni). Poi non vorrei scordare la Seconda Suite delle Danze Sinfoniche, e naturalmente il Concerto per pianoforte. Nel Concerto credo veramente di aver dato il meglio delle mie capacità dal punto di vista armonico e contrappuntistico.

A quale scuola pianistica appartiene?

Iniziai i miei studi a Rosario, in Argentina, con Domingo Scarafìa, e dopo seguii dei Corsi di perfezionamento a Buenos Aires con Jorge Fanelli, che veniva dalla famosa «Scuola» di Alessandro Longo, la cui caratteristica era una grande brillantezza digitale. Compiuti gli studi accademici in Argentina, mi trasferii negli Stati Uniti dove studiai con Arthur Loesser, della gloriosa «Scuola» che proveniva dai grandi Leschetitzki e Stoiovski. Poi frequentai alla Juilliard i Corsi di Adele Marcus, che era stata assistente di Josef Lhevinne. Infine fra i miei ultimi insegnanti vi furono Guido Agosti e Nikita Magaloff.

Ha fiducia negli interpreti delle Sue musiche?

Devo confidare nelle qualità e nelle risorse degli interpreti. Un interprete può «sentire» la mia musica in modo diverso da me, ed eseguire certi passaggi a modo suo, in maniera più consona alla sua sensibilità. Ricordo che da giovane eseguivo spesso il Secondo di Rachmaninov e per curiosità volli ascoltare il disco in cui Rachmaninov stesso suonava quel suo Concerto con Stokowski e la Philadelphia Orchestra. Rimasi colpito, al primo ascolto, dal modo con cui il maestro russo suonava la sua musica. Una musica che io intendevo, e realizzavo, in modo un poco diverso.
Questa, in fondo, è la vera bellezza della nostra arte che può sempre variare, nel suo eterno e cangiante modo di essere proposta dagli interpreti, in maniera sempre affascinante. Sono un sostenitore della libertà degli esecutori: credo proprio che difenderò sempre, e «a spada tratta», gli interpreti delle mie musiche, anche quando le loro letture saranno alquanto lontane dalla mia visione dei pezzi.

Umberto Masini

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A cura di Renzo Trabucco: Pagina aggiornata al 21/09/2000
Materiali©Nuova Carisch s.r.l.

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